Edizioni Ricerca ’90 | Gabriele D'Annunzio


Gabriele D'Annunzio

di Ciro Discepolo




Gabriele D'Annunzio fu un gran retore. Questa è una delle conclusioni cui giunse la puntata di Mixer cultura dello scorso giugno, interamente dedicata alla rievocazione del grande poeta abruzzese di cui quest'anno si celebra il cinquantesimo anniversario della morte. Tra osanna e condanne, ancora una volta l'autore del Piacere, del Notturno, del Libro segreto e di tanti altri capolavori di prosa e di poesia, ha diviso a centottanta gradi i suoi critici: con Enzo Siciliano che lo decantava e teneva a precisare ch'egli fu del ventesimo secolo e non del diciannovesimo; con storici diversamente orientati che lo piazzavano tra i fascisti convinti e altri tra gli opportunisti fedeli al regime; con i "siamesi" Fruttero e Lucentini che credo mai come in quest'occasione distinguevano le proprie posizioni e con chi ricordava che il grande Ungaretti, molti anni fa, dopo aver ascoltato una lunga celebrazione del Poeta, si alzò urlando: "lo ho iniziato a scrivere poesie in odio a Gabriele D'Annunzio".

E se alcuni fra i più grandi nomi della letteratura italiana, quella sera, non si sono accordati sulla questione se la poesia del Novecento sia tutta a immagine e somiglianza di quella del poeta pescarese o se - all'opposto - ne sia la più totale negazione, non tenterò certamente io di dare un giudizio tanto alto e mi limiterò ad osservare il D'Annunzio uomo attraverso i fatti della sua vita.

Questi fatti ci sono stati narrati da una pletora di scrittori, dall'Antonicelli al D'Aroma, dal Sozzi al Jullian e a tanti altri, ma la biografia che mi è piaciuta di più - e che non a caso è un Oscar Mondadori - è quella scritta dal compianto Piero Chiara: essenziale, impegnativamente imparziale, povera di commenti personali. E così, con i libri da una parte, i fogli per appunti davanti, e il cielo di nascita dall'altra, mi sono tuffato anch'io a cercare qualche verità senza pretese conclusive e/o irreversibili.

Dunque Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, alle 8 del mattino ed il suo oroscopo con Sole, Venere e Nettuno in dodicesima Casa, Marte in prima e Plutone all'Ascendente, mi convince moltissimo. Tutta la sua storia si rispecchia in questo quadro che segna l'Ascendente a 3' e 36' in Toro e la Luna a 14'48' in Sagittario.

Partiamo dal denaro, per esempio. Il nostro navigò tutta la vita in un mare di debiti: spendeva tutto quello che aveva e poi, senza alcuna apparente preoccupazione, spendeva anche quello che avrebbe guadagnato dieci o vent'anni dopo. Amava il lusso, la bella vita, le donne soprattutto, i cani da corsa e i cavalli, le ville, i quadri d'autore, i tappeti orientali, le tende di stoffa pregiata e mille oggetti che oggi non faticheremmo a definire kitsch.

Per dare un'idea della enorme sproporzione tra quello che spendeva e quello che avrebbe potuto spendere, basti pensare che nel 1898 aveva 70.000 lire di debiti che avrebbe potuto riscattare a meno di tremila lire per ogni nuovo libro che avesse consegnato. La sua condizione economica la potremmo definire vulcanica e tale ci appare se notiamo Urano in seconda Casa, all'opposizione della Luna e alla quadratura del Sole. Si sarebbe tentati di aggiustare l'orario di nascita e di piazzare anche Marte in seconda Casa, ma sarebbe un errore e sarebbe anche inutile. Dopo vedremo perché.

Innanzitutto osserviamo che Mercurio, dispositore della seconda in undicesima, è trigono a Giove e indica chiaramente che il soggetto riuscì sempre a cavarsela, contando sull'aiuto dei suoi protettori che furono i suoi pazienti editori, gli amici influenti e talvolta anche le prestigiose amanti, come Eleonora Duse che ricambiava il suo fuoco amoroso con smeraldi e cospicui sovvenzionamenti. Marte in seconda non avrebbe reso più drammatica la sua lunga storia economica fatta di sequestri, di fughe, di oggetti impegnati, e perfino di truffe nel senso di impegni non mantenuti e per i quali era stato lautamente pagato.

No, Marte sta bene in prima. Sennò come si spiegherebbe l'inesauribile energia ch'egli riusciva a esprimere sessualmente, o scrivendo, com'è giusto per un Marte in Gemelli? Marte in prima Casa fu l'energia, ma fu anche una serie notevole d'incidenti cui andò incontro durante l'intero corso della vita: cadde molte volte, alcune da cavallo, giovanissimo perse in un incidente due incisivi e fu poi privato anche della vista a un occhio battendo il capo sulla mitragliatrice di uno degli aerei con cui si conquistò tre medaglie d'argento, una medaglia d'oro e innumerevoli onorificenze minori, non indipendentemente dalle pressioni ch'egli fece per ottenerle.

Marte, dunque, anche come coraggio che si espresse, forse al massimo, nella sorvolata di Vienna e nel lancio sulla stessa di manifestini satirici. Più tardi, quando la sua libido sessuale si frenò e gli anni soffocarono le potenziali fiammate del suo cuore per la patria, l'igneo pianeta si sarebbe espresso nei molti mali che lo afflissero fisicamente, soprattutto con un'ulcera allo stomaco, non troppo spiegabile astrologicamente parlando, e con le emorroidi (Plutone congiunto all'Ascendente).

Ma ritorniamo un attimo sulla seconda Casa e sul disastro delle sue finanze: scommetto che chi, tra coloro che mi stanno leggendo, ha la stessa o una simile posizione astrale, mancando di un'esperienza adeguata, starà sudando freddo. A mio avviso non ce n'è motivo, a meno che la somiglianza con l'intero tema di nascita di D'Annunzio non sia fortissima. Non dobbiamo dimenticare, infatti, un elemento primario di analisi di quest'oroscopo: il Sole e due pianeti sono in dodicesima Casa! Questo significa molte prove, una lotta continua, quotidiana. Allora se ci sommiamo Urano in seconda, in aspetti disarmonici con i luminari, ecco che spuntano fuori gli enormi problemi di sostentamento.

I valori Pesci si espressero tutti: dalla sensualità e autoindulgenza che veicolarono la più parte della sua libido, alla vocazione mistica più volte espressa nel desiderio di entrare in convento, al senso infermieristico con cui si prese cura di tutte le donne con cui ebbe rapporti: "infermiere devoto e vigile quando le sue donne si ammalavano". Anche quando, strozzato dai debiti e con il fiato dei creditori addosso, gli giungevano miracolosamente un po' di soldi, pensava a mandarne una parte a qualcuna delle tante amanti che, come quasi tutte le donne che lo amarono, fecero una brutta fine.

Fu invece molto egoista nei confronti dei figli, della moglie presto abbandonata e della povera madre che stette al balcone della casa di Pescara quasi un'intera vita per vedere arrivare il figlio famoso che soltanto una volta le dedicò poche ore. Teneva le sue donne un po' come le cagne e le obbligava a sopportarsi reciprocamente dacché egli non si concesse mai in esclusiva per una di esse e spesso ne invitava più d'una nel suo letto.

Fu erotomane alla massima potenza o "depravato" come si direbbe oggi e come dicevano allora coloro che non condividevano le bizzarrie mai eguagliate finanche dai pornografi di professione. Ma anche su questo punto, a distanza di cinquant'anni dalla sua morte, il Poeta sarebbe capace di provocare profonde divergenze di opinione tra chi ritiene che farsi defecare sul petto dalla propria amante sia una raffinatezza erotica e chi, invece, la classificherebbe come una scelleratezza a luci rosse. Evidentemente il suo Plutone vicino all'Ascendente fu anche questo, oltre alla ricerca inconscia della morte, richiamata anche dalla Luna in ottava Casa e antagonizzata dai valori Sagittario e Toro che sono tutti per la vita. Cercò più volte la morte gloriosa in guerra, ma si salvò sempre, mentre molti suoi piloti, nei giorni in cui lui rimaneva a terra, non fecero più ritorno.

Fu Pesci anche nelle superstizioni e scriveva 1912 + 1 e non 1913, oltre a portare sempre con sé vari talismani: gli smeraldi della Duse, la fede della madre e un grosso fallo di terracotta. Sacro e profano si erano sempre mischiati in lui in una confusione che avvolge spesso tanti Pesci. Credeva a una profezia che gli avevano fatto e che diceva che sarebbe morto nel 1909 di morte violenta, ma poi non esitava a battersi a duello e due volte fu ferito (Marte in prima Casa).

Parlavo prima della sua retorica, eccone un esempio tratto da un discorso che fece il 2 gennaio 1921 contro la lotta fraticida: "Se colui che pianse presso la fossa di Lazzaro, se il Figlio d'Uomo or apparisse tra l'altare e le bare, tra la tovaglia sacra e il labaro santo, tra i ceri accesi e le vite estinte; se qui apparisse e facesse grido e risuscitasse questi morti discordi su dai coperchi non inchiodati ancora, io credo ch'essi non si leverebbero se non per singhiozzare e per darsi perdono e per abbracciarsi".

Evidentemente il suo maggior carisma gli veniva, sia che parlasse sia che scrivesse, dalla dominante Plutone. Marte in prima Casa contribuiva a esaltare questo carisma. Infiammò molte folle e fu tra i maggiori protagonisti dell'interventismo nella prima guerra mondiale. Come ufficiale di cavalleria, nelle sue pericolose e gloriose imprese aeree e marittime, visse forse il periodo più felice perché in tema con i suoi valori di dodicesima Casa, di lotta, e con la marzialità già descritta. Quando la guerra finì provò una grande tristezza e, a modo suo, con l'impresa di Fiume la continuò per un po'. Poi, come si sa, si ritirò a Gardone Riviera, sul lago di Garda, nella villa che sarebbe stata nominata il Vittoriale d'Italia. Mussolini, ormai al potere, trovò con lui il modo d'intendersi anche se quando gli scriveva il D'Annunzio lo chiamava "compagno". Gli fu assegnata una spia fissa in casa e in cambio della sua aderenza al fascismo, Mussolini lo sovvenzionò abbondantemente. Il Poeta, per parte sua, utilizzò gli ultimi anni della sua vita esprimendo le valenze "crocerossine" del suo segno e scriveva fiumi di lettere al Duce per fargli assegnare posti agli amici bisognosi, per richiedere cariche politiche per i vecchi amici e perfino per la spia Rizzo. Quando morì, per ictus cerebrale, la sera del 28 febbraio 1938, quest'ultimo chiese la comunicazione telefonica urgente col Duce e la telefonista ascoltò un "Finalmente!" nel corso della comunicazione.

Per dare la misura di quello che rappresentò D'Armunzio per gli italiani, basti pensare che il giorno dopo la sua morte le prime tre pagine e mezzo del Corriere della Sera erano interamente dedicate all'uomo per il quale lo Stato stava già pubblicando l'opera omnia.

Studiando la sua vita agitatissima e il suo oroscopo si possono cogliere cento facce che gli appartengono, ma nel giudicarle non dobbiamo dimenticare un parametro importante, il più importante di tutti: egli è stato ed è uno dei più grandi letterati d'Italia.

 

 

Ciro Discepolo

Tratto dal libro Da Costanzo a Nilde Jotti, edizioni Ricerca '90, 1992

 

 

 

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